Introduzione
Ti guardi intorno: amici che si sposano, colleghi che comprano casa, cugini che annunciano l’arrivo di un bambino. E tu… ti chiedi se sei “in ritardo”. È una sensazione sottile, ma pungente. Non è solo la consapevolezza di non aver raggiunto certi obiettivi: è la percezione di stare perdendo qualcosa di importante. In inglese la chiamano FOMO – Fear of Missing Out: la paura di restare indietro, di essere tagliati fuori dalla corsa invisibile che tutti sembrano correre.
Per molti, soprattutto tra i 25 e i 35 anni, questa non è un’impressione passeggera: è un sottofondo costante, alimentato dal confronto con i genitori (“alla mia età avevano già…”) e moltiplicato dai social media, dove la vita altrui appare sempre piena, brillante e puntuale.
La FOMO come fenomeno culturale e generazionale
La FOMO non nasce con Instagram, ma il contesto attuale l’ha resa quasi inevitabile. Soprattutto chi oggi ha tra i 25 e i 30 anni è cresciuto con il racconto implicito che certe tappe della vita – laurea, lavoro stabile, casa di proprietà, matrimonio, figli – dovessero arrivare in un ordine ben preciso e in tempi rapidi. Una narrazione in parte ereditata dalla generazione precedente, che negli anni ’80 e ’90 aveva raggiunto questi obiettivi in un contesto socioeconomico più stabile e prevedibile.
Oggi la realtà è diversa: precarietà lavorativa, costi abitativi elevati, relazioni affettive meno rigidamente strutturate. Questo scarto tra “come dovrebbe essere” e “come è davvero” crea un terreno fertile per la FOMO. Bauman, parlando di modernità liquida e di amore liquido, ha descritto bene la fragilità dei legami e delle certezze del mondo contemporaneo, dove tutto appare fluido, transitorio, instabile.
E i social media amplificano la sensazione: non mostrano il percorso, ma solo il risultato. L’amica che “ce l’ha fatta” appare improvvisamente con un contratto a tempo indeterminato o un bambino in braccio, senza che tu abbia visto gli anni di tentativi, rinunce e fatiche che hanno preceduto.
La lettura psicoanalitica – Il tempo soggettivo e il tempo imposto
In psicoanalisi, il tempo non è solo quello dell’orologio, ma un intreccio tra ciò che avviene nel mondo esterno e ciò che accade dentro di noi. Erik Erikson, psicoanalista noto per la sua teoria degli stadi evolutivi, descrive i vent’anni e i trent’anni come il periodo in cui l’individuo affronta una sfida cruciale: costruire l’intimità autentica e stabilire relazioni significative, evitando il rischio dell’isolamento. Se in questa fase si percepisce di non riuscire a “stare al passo” con gli altri, può emergere un vissuto di ansia e di inadeguatezza: come se non solo la società, ma la vita stessa ci stesse chiedendo di correre più veloce.
Donald Winnicott, con la sua idea di tempo soggettivo, ci ricorda invece che ognuno di noi ha un ritmo interno che non coincide necessariamente con quello imposto dal mondo esterno. Pensiamo, ad esempio, al bambino che gioca: il suo tempo non è produttivo, non è scandito da orologi o scadenze, ma è comunque profondamente creativo e generativo. Trasposto alla vita adulta, questo significa che alcune decisioni — una relazione, un figlio, una scelta lavorativa — non possono maturare secondo il calendario sociale, ma solo quando diventano autenticamente sentite.
Christopher Bollas, in L’ombra dell’oggetto, ci offre un’altra prospettiva: spesso viviamo secondo copioni che non abbiamo scelto, ma che ci vengono consegnati dalla famiglia, dalla cultura o dalla società. Questo “oggetto” interno — fatto di aspettative, richieste, modelli — può guidarci senza che ce ne accorgiamo. Così rincorriamo obiettivi che non ci appartengono, mossi più dal timore di deludere gli altri che dal desiderio autentico. E quando questi obiettivi non vengono raggiunti “in tempo”, il risultato è un senso di fallimento che però, a ben guardare, non riguarda noi, ma l’ideale che abbiamo interiorizzato.
Freud stesso, parlando del Super-Io (Introduzione al narcisismo), aveva descritto quella voce interiore che giudica, paragona e punisce. Nella FOMO, questa voce assume la forma di un calendario implacabile: “Dovevi già essere arrivato lì. Sei indietro. Non sei abbastanza”.
La psicoanalisi ci mostra dunque una tensione fondamentale: da una parte il tempo imposto, fatto di aspettative sociali e familiari; dall’altra il tempo soggettivo, che nasce dal nostro inconscio, dai nostri desideri profondi, dal ritmo unico della nostra vita psichica. La FOMO nasce proprio nello scarto tra questi due tempi: quando viviamo troppo nel tempo degli altri e troppo poco nel nostro.
FOMO, ansia e confronto sociale
Clinicamente, la FOMO può manifestarsi in molti modi: un’ansia costante di “dover” fare di più, un senso di apatia quando ci sembra di essere troppo distanti dall’obiettivo, o scelte affrettate dettate più dalla pressione che dal desiderio reale.
I social media non sono la causa, ma un potente acceleratore di questo processo. La mente umana è naturalmente predisposta al confronto, e l’esposizione continua ai momenti di svolta degli altri – filtrati, selezionati e curati – attiva la paura di essere esclusi e l’idea di non avere mai abbastanza tempo per “raggiungere” gli altri (Przybylski et al., 2013).
Ripensare il tempo – Strategie di uscita dal confronto sterile
Liberarsi dalla FOMO non significa smettere di desiderare, ma ritrovare un contatto con il proprio passo. Questo richiede innanzitutto un ascolto sincero: capire se certi traguardi sono davvero nostri o se li rincorriamo solo perché “si fa così”.
Può essere utile riscoprire il concetto antico di kairos, il tempo opportuno: non un momento calendarizzato da altri, ma l’attimo in cui qualcosa diventa giusto per noi. Significa anche ridurre l’esposizione ai contesti che alimentano il confronto sterile – non per fuggire, ma per permettere alla propria voce interna di farsi sentire senza il rumore di fondo. E soprattutto, significa imparare a raccontarsi la propria vita come un percorso unico, non come una corsa a checkpoint prestabiliti.
Conclusione – Forse non è ritardo, è un segnale
Spesso non ci accorgiamo che le tappe che sentiamo di “dover” raggiungere — perché le vediamo negli altri, o perché ce le siamo imposte noi stessi — non sono neutrali. L’università finita entro i 25 anni, il primo figlio entro i 30, la casa comprata entro i 35… sono un esempio abbastanza comune di obiettivi che possono sembrare naturali, ma non sempre lo sono per noi.
E a volte il fatto di non averli ancora raggiunti non è un fallimento, ma un messaggio. Forse non ci siamo laureati “in tempo” perché il percorso scelto non ci corrisponde. Forse non abbiamo ancora figli perché il partner con cui viviamo non è davvero la persona con cui vogliamo costruire una famiglia. Forse non abbiamo comprato casa perché, in fondo, non siamo pronti a radicarci in un luogo.
Queste “mancanze” non sono sempre vuoti da colmare: possono essere segnali di un sapere profondo, che non vogliamo ascoltare. Perché a volte è più facile rincorrere scadenze che fermarsi a sentire cosa non funziona davvero.
La terapia, in questo senso, diventa uno spazio privilegiato: non per stabilire se siamo “in ritardo” o “in anticipo”, ma per capire se stiamo davvero camminando nel nostro tempo. Un tempo che non segue i calendari altrui, ma la nostra verità interna — e che, se ascoltato, può condurci non dove si “deve” arrivare, ma dove vogliamo davvero essere.
Dott.ssa Andrea Budicin
Riferimenti utili per chi vuole approfondire:
- Bauman, Zygmunt — Modernità liquida. Traduzione di Sergio Minucci, Laterza, Roma-Bari, 2011.
- Bauman, Zygmunt — Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi. Traduzione di Marco Cupellaro, Laterza, Roma-Bari, 2004.
- Winnicott, Donald W. — Gioco e realtà. Traduzione di Giorgio Adamo e Renata Gaddini, Armando, Roma, 1974.
- Bollas, Christopher — L'ombra dell'oggetto. Psicoanalisi del conosciuto non pensato. Traduzione di Daniela Molino, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2018.
- Erikson, Erik H. — Identità giovanile e crisi dell’adolescenza (originale: Childhood and Society).
- Freud, Sigmund — Introduzione al narcisismo (originale: Zur Einführung des Narzißmus), nel volume Opere complete, Bollati Boringhieri.
- Przybylski, A. K. et al. (2013) — “Correlati motivazionali, emotivi e comportamentali della fear of missing out(FOMO)”, in Computers in Human Behavior, 29(4), pp. 1841–1848.