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Narcisisti o solo insicuri? Il confine sottile tra un Sé sano e la ferita narcisistica.

Tra mito contemporaneo e realtà clinica: una guida psicoanalitica per orientarsi nel labirinto del narcisismo

Narcisismo: una parola abusata

Oggi, dare del “narcisista” è diventato quasi un insulto di uso comune. Viene usato per descrivere ex partner, capi arroganti, influencer, o anche semplicemente persone che sembrano “troppo sicure” di sé. Ma cosa intendiamo davvero quando parliamo di narcisismo? E soprattutto: siamo sicuri di saper distinguere tra un narcisismo sano, una personalità narcisistica strutturata e, più semplicemente, una fragilità che si maschera da sicurezza?

In realtà, la parola “narcisista” non appartiene solo al linguaggio della cultura pop. È un concetto teorico e clinico centrale nella psicoanalisi del Novecento e ancor più nella clinica contemporanea. Capire di cosa parliamo quando usiamo questo termine significa poter distinguere tra una sana autostima e una difesa disperata contro il vuoto interiore.


Il narcisismo sano: fondamento dell’identità

Approfondimento: Freud e la doppia faccia del narcisismo

Nel celebre saggio del 1914, Introduzione al narcisismo, Sigmund Freud compie una svolta fondamentale nella comprensione della vita psichica umana, descrivendo il narcisismo non come una patologia, ma come un fenomeno strutturale e imprescindibile.

Narcisismo primario: il Sé al centro del mondo

Freud definisce il narcisismo primario come la fase di sviluppo infantile in cui l’investimento libidico è rivolto esclusivamente verso il proprio Sè. Prima di qualsiasi investimento oggettuale (cioè verso oggetti esterni come la madre o il padre), il bambino vive in uno stato di chiusura autistica, in cui il Sé e l’oggetto (mamma, papà, l’altro) non sono differenziati. Tutta la libido è concentrata sull’Io.

Questa fase è cruciale per lo sviluppo perché:

  • Permette al bambino di sviluppare un senso di unità e coesione interna;
  • Funziona come una sorta di “centramento” che organizza l’esperienza e prepara il terreno per successive relazioni oggettuali;
  • È il momento in cui si stabiliscono le basi del sentimento di identità.

Freud insiste sul fatto che il narcisismo primario è universale e normale: senza di esso non ci sarebbe soggettività.

Narcisismo secondario: la libido torna al Sé

Con lo sviluppo il Sè e gli oggetti (mamma, papà, l’altro) si differenziano e parte della libido si sposta verso gli oggetti esterni (investimento oggettuale). Tuttavia, Freud osserva che, in certi momenti o in certe condizioni, la libido può ritirarsi dagli oggetti e tornare a investire il Sé, ma anche quando c’è un apporto narcisistico sul Sè: è il cosiddetto narcisismo secondario.

Questa dinamica si presenta in diversi contesti:

  • Nei momenti di perdita o delusione, quando la relazione con l’oggetto è ferita;
  • Nelle patologie dove il ritiro della libido oggettuale diventa eccessivo o rigido.
  • Ma anche quando ci fanno i complimenti o quando si innamorano di noi 

Il narcisismo secondario nella maggior parte dei casi è una difesa, un modo di proteggere l’unità del Sé quando il mondo esterno è percepito come minaccioso o inaffidabile.

Implicazioni cliniche

La distinzione tra narcisismo primario e secondario ci aiuta a comprendere:

  • Come il Sé si costituisca attraverso una complessa oscillazione tra investimento su di sé e sugli altri;
  • Perché un certo grado di narcisismo è necessario per la salute mentale: ci permette di mantenere un’identità stabile e di affrontare le delusioni;
  • Come, quando questa oscillazione si blocca o si sbilancia, possano emergere forme patologiche di narcisismo.

Freud ci insegna quindi a vedere il narcisismo non come un semplice “egoismo” o una caratteristica negativa, ma come una componente essenziale e dinamica della vita psichica.

Altri autori 

Molti teorici successivi hanno sviluppato questa intuizione. Heinz Kohut, padre della Psicologia del Sé, sottolinea quanto sia essenziale, per la costruzione di un’identità stabile, essere rispecchiati da figure genitoriali che sanno dare riconoscimento. Senza questo rispecchiamento empatico, il Sé rischia di frantumarsi. Il narcisismo sano, secondo Kohut, è la base di una personalità coesa, capace di provare piacere per le proprie qualità senza annientare l’altro.

Anche D.W. Winnicott, con la sua teoria del Falso Sé e dell’autenticità, mostra come la soggettività emerga da una relazione: il neonato ha bisogno di un ambiente che lo accolga e lo rifletta, affinché possa diventare “realmente” se stesso. Qui il narcisismo è visto come costrutto evolutivo positivo, necessario alla crescita psichica.

In sintesi, possiamo dire che il narcisismo sano si esprime come:

  • una autostima stabile;
  • la capacità di regolare l’umore senza cadere nella disperazione o nella grandiosità;
  • la possibilità di entrare in relazione con l’altro senza perdervisi o dominarlo.


Narcisismo patologico: la fragilità dietro la maschera

Il narcisismo patologico, invece, è una struttura di personalità complessa e, spesso, sofferta. Il Disturbo Narcisistico di Personalità, descritto nel DSM, appare come una combinazione di grandiosità, bisogno di ammirazione e mancanza di empatia. Ma la psicoanalisi va oltre la diagnosi nosografica, mostrando le dinamiche interne che alimentano questa organizzazione.

Secondo Otto Kernberg, il narcisismo patologico si caratterizza per una struttura scissa della personalità: l’individuo alterna sentimenti di onnipotenza e disprezzo, oscillando tra l’idealizzazione di sé e degli altri e la svalutazione estrema. Dietro la maschera grandiosa si cela un Sé fragile, pieno di rabbia e vergogna. È come se l’individuo si aggrappasse a una versione idealizzata di sé per non sentire il vuoto.

Anche qui, l’origine è relazionale: esperienze precoci di umiliazione, non riconoscimento o genitori invasivi e non sintonizzati creano un terreno fertile per strutture narcisistiche patologiche. Il soggetto non ha mai potuto costruire un Sé stabile e coerente, e per questo si rifugia in un’immagine idealizzata, che però ha bisogno costante di conferme.

Il narcisismo patologico si manifesta spesso come:

  • incapacità di tollerare la frustrazione o la critica;
  • relazioni superficiali, incentrate sul controllo o sull’ammirazione;
  • disconnessione empatica;
  • oscillazioni tra grandiosità e senso di vuoto o indegnità.


Conclusione – Uscire dalla logica del giudizio

Come abbiamo visto, in ognuno di noi esiste una componente narcisistica. Un certo grado di narcisismo è necessario per vivere: senza di esso non potremmo sviluppare un’identità coesa, né affrontare le sfide della vita quotidiana. Per questo, è importante non cedere alla tentazione di etichettare con superficialità gli altri — o noi stessi.

Il narcisismo, di per sé, non è né buono né cattivo: è una modalità relazionale ed evolutiva, che può essere sana o disfunzionale, protettiva o difensiva, a seconda di come si è costruita nella nostra storia e di come viene gestita.

Imparare a distinguere tra un Sé sano, un Sé fragile e una difesa grandiosa è un compito fondamentale per chi lavora in ambito clinico. Ma è anche un passo essenziale per chiunque desideri guardarsi con maggiore consapevolezza, e guardare gli altri con meno giudizio.

Soprattutto oggi, in un’epoca in cui basta accendere lo smartphone per essere bombardati da immagini di una perfezione disarmante — corpi scolpiti, case immacolate, carriere brillanti, relazioni sempre felici — ci ritroviamo a domandarci se tutto questo sia davvero reale, o se non sia piuttosto una maschera. Una facciata costruita per non mostrare all’altro, ma soprattutto a noi stessi, la fragilità e l’imperfezione che ci abitano e che facciamo fatica ad accettare.

Penso che in terapia, gran parte del lavoro si concentra proprio su questo: riconoscere che siamo umani e che non siamo perfetti. Accogliere le nostre vulnerabilità, non per arrenderci, ma per imparare a prenderci cura di noi con più coscienza.

La terapia ci accompagna verso questa consapevolezza: che il punto non è diventare perfetti e invincibili, ma — come dice il mio maestro— “la vera forza risiede nel saper sostenere la debolezza”.


Dott.ssa Andrea Budicin


Riferimenti utili per chi vuole approfondire:

  • Freud, S. (1914). Introduzione al narcisismo.
  • Kohut, H. (1971). The Analysis of the Self.
  • Kernberg, O. (1975). Borderline Conditions and Pathological Narcissism.
  • Winnicott, D.W. (1971). Gioco e realtà.
  • McWilliams, N. (1994). Psicodiagnosi.
  • Gabbard, G.O. (2020). Psicoterapia del narcisismo.
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