Introduzione — La terapia che molte persone fanno… prima ancora di farla
Ci sono persone che, prima ancora di iniziare una terapia, ne fanno già una nella loro testa, nella loro fantasia.
E questa non è una metafora o un modo di dire. Spesso è un’esperienza sorprendentemente diffusa.
C’è chi immagina come inizierebbe la prima seduta, cosa direbbe, quali parti della propria storia condividerebbe e quali no. C'è chi tutto questo lo fa e in più lo continua nel tempo, tanto da avere quasi un appuntamento settimanale con il terapeuta dentro di sé.
Una paziente, con cui lavoro da tempo, un giorno me lo ha detto così:
“Io con lei non sono in terapia da due anni: sono in terapia da tre in realtà. Il primo anno l’ho fatto da sola, nella mia testa, poi dopo sono venuta da lei qui. Credo di averla contattata solo nel momento in cui ero certa di stare abbastanza male per meritarmi di essere aiutata.”
Rideva quando me lo ha detto, ma dietro quelle parole c’era tutt'altro che il sorriso. C'era un anno di solitudine: un anno in cui aveva tentato di curarsi da sola, immaginando noi due mentre parlavamo, usando la fantasia per costruire un luogo che ancora non c’era.
Molte persone vivono proprio questo: una pre-terapia fatta in silenzio, piena di domande, speranze, paure e tentativi di auto-comprensione.
Così mi sono ritrovata a chiedermi cos'è che può bloccare per così tanto tempo una persona dal poter chiedere aiuto. Credo ci sia una moltitudine di paure e preoccupazioni, che sono diverse per ognuno di noi e difficili da sintetizzare qui. Quindi credo che l'unico modo che ho per far fronte a questi timori sia quello di far vedere, per quanto possibile, ciò che accade in seduta.
Pertanto con questo articolo spero di guidarti dentro ciò che succede realmente quando si varca quella porta per la prima volta.
Le domande silenziose di chi si avvicina alla terapia
Quando si pensa di iniziare una terapia, la mente si riempie di domande che spesso non vengono dette ad alta voce:
- “E se non sapessi cosa dire?”
- “E se non stessi abbastanza male?”
- “E se il terapeuta non mi piacesse?”
- “E se uscisse qualcosa che non voglio affrontare?”
- “E se non funzionasse?”
Freud descrive questo momento come un intreccio di desiderio e timore, una preparazione emotiva che accade prima che inizi la relazione vera e propria.
Secondo gli autori più contemporanei, come Winnicott e Ogden, questa fase è tutt’altro che secondaria: è il tempo in cui nasce lo spazio transizionale, cioè un’area immaginativa dove si prova mentalmente a entrare in una relazione ancora solo pensata.
È un modo naturale della psiche per avvicinarsi lentamente a qualcosa di importante.
Cosa succede davvero nelle prime sedute
Molti temono che le prime sedute servano a “mettere tutto in ordine” o raccontare “la storia completa”. In realtà, accade qualcosa di molto più semplice, umano e necessario: ci si conosce.
Ma che cosa significa conoscersi?
Nelle prime sedute:
- Il terapeuta inizia a conoscere te.
Non solo gli eventi, ma la tua trama affettiva: le persone importanti della tua vita, quelle che ti hanno sostenuto, quelle che ti hanno ferito, il modo in cui ti relazioni, ciò che temi e ciò che ti rassicura. - Tu inizi a conoscere il terapeuta.
Il suo modo di ascoltare, di stare con te, di accogliere le pause, di rispondere. Capisci se puoi sentirti libera/o di parlare, di emozionarti, di sbagliare le parole, di non sapere.
Questa conoscenza reciproca non ha nulla a che fare con un esame o una valutazione. È il processo con cui si costruisce lo spazio della terapia: uno spazio condiviso, sicuro e autentico.
Dal punto di vista pratico, cosa puoi aspettarti?
- Domande semplici, che servono ad aprire un dialogo, non a incasellarti.
- La possibilità di parlare anche senza ordine logico.
- Tempo per raccontarti senza pressione.
- La libertà di stare in silenzio se necessario.
- Reazioni emotive spontanee: imbarazzo, sollievo, commozione.
- Una sensazione graduale di sollievo nel poter “lasciare” qualcosa di pesante all’altro.
Le prime sedute non servono a dire tutto, ma a iniziare a sentirsi meno soli.
Esempio clinico — “Io qui ci sono stata già un anno prima…”
Riprendiamo la storia della paziente dell’introduzione.
Nella sua prima seduta era molto composta. Parlava con precisione, cercando di apparire chiara, ordinata, “adeguata”. Solo dopo mesi mi disse:
“Ho passato un anno intero a immaginare questo momento. Mi preparavo. Ma ero sola.”
Quel primo anno di “terapia immaginaria” era stato, per lei, un tentativo di contatto. Ma contatto con chi? Con se stessa e con qualcuno che potesse accoglierla.
Le prime sedute, quelle reali, sono state il luogo in cui ha scoperto di poter condividere il peso della sua storia con qualcuno. E questo ha cambiato tutto: non era più sola a reggere ciò che la attraversava.
Riferimenti teorici — quando la relazione diventa cura
La psicoterapia non è fatta solo di tecniche: è un incontro tra due menti che imparano a pensare insieme. Gli autori fondamentali della psicoanalisi — e alcune voci della letteratura — ci aiutano a comprendere cosa accade nei primi momenti di una terapia.
Sigmund Freud — Il transfert che nasce prima dell’inizio
Freud osserva che il paziente porta con sé nel terapeuta desideri, timori, aspettative, prima ancora di vederlo. Questo transfert preliminare mostra che la cura comincia già nel pensiero: l’incontro immaginato prepara l’incontro reale.
Donald Winnicott — Il luogo sicuro dove ci si può appoggiare
Per Winnicott, ciò che cura non è l’interpretazione, ma il setting come ambiente affidabile. Nelle prime sedute il paziente verifica se il terapeuta è un posto dove può “lasciarsi andare” senza essere giudicato.
Wilfred Bion — Dalla confusione al pensiero
Bion descrive come il terapeuta trasformi emozioni confuse in qualcosa di pensabile. Molti pazienti arrivano dicendo: “Non so spiegare cosa mi succede”. La relazione, soprattutto all’inizio, dà forma a ciò che non ha ancora un nome.
Thomas Ogden — Il “terzo” che nasce dall’incontro
Ogden parla di un terzo spazio che nasce tra paziente e terapeuta: non appartiene a nessuno dei due, ma alla relazione stessa. Nelle prime sedute questo terzo inizia a prendere forma, creando un linguaggio unico e condiviso.
Rainer Maria Rilke — Le domande come dimora
Rilke invita ad “abitare le domande” senza pretendere risposte immediate. Le prime sedute sono esattamente questo: un luogo dove portare domande che forse non hanno ancora forma.
Conclusione — Entrare quando si è pronti… o anche quando non lo si è affatto
Quando si inizia un percorso terapeutico, c'è spesso una paura che può sembrare inevitabile: quella di affidarsi a uno sconosciuto. Raccontare le proprie emozioni più intime a una persona che non si conosce bene, o non si conosce affatto, può sembrare un passo enorme. In effetti, scegliere di affidarsi a qualcuno è un atto che non va mai preso alla leggera, e richiede coraggio.
Eppure, c'è una bellezza in questo gesto. Affidarsi a un professionista che sa come orientarsi in ciò che ci affligge, che ha gli strumenti per comprendere e accompagnarci, può essere un sollievo inaspettato. Non siamo più soli nel gestire le nostre emozioni: possiamo lasciare che qualcun altro prenda il peso di ciò che ci turba, offrendoci una guida sicura, esperta e, soprattutto, non giudicante.
Sì, l’idea di cedere il controllo può spaventare, ma proprio nell’affidarci, non perdiamo nulla di noi stessi. Piuttosto, iniziamo a condividere con qualcuno che sa come custodire e trattare ciò che per noi è difficile portare. Non è necessario essere pronti o avere tutte le risposte: basta avere il desiderio di fare il primo passo. Quando arriverai, la porta sarà sempre aperta, e ciò che porterai — anche confuso, impreciso, storto o sghembo — sarà il punto perfetto da cui cominciare.
Dott.ssa Andrea Budicin
Riferimenti utili per chi vuole approfondire
- Freud, S. (1912–1915). Tecnica psicoanalitica. Opere, Bollati Boringhieri.
- Winnicott, D. W. (1965). I processi maturativi e l’ambiente facilitante. Astrolabio Ubaldini.
- Bion, W. R. (1962). Imparare dall’esperienza. Il Saggiatore.
- Ogden, T. (1992). La matrice della mente: Le relazioni oggettuali nel dialogo psicoanalitico. Cortina Editore.
- Bollas, C. (1987). L'ombra dell'oggetto: La psicoanalisi dell'ignoto non pensato. Astrolabio Ubaldini.
- Rilke, R. M. (1929). Lettere a un giovane poeta. Adelphi.